Gemme di Avalon


Prime righe tratte da opere arrivate ad Avalon
liberamente scelte dalla redazione.
Altre ne verranno inserite fino alla scadenza.

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Luca Nisi – Aelinor

Quando il frate uscì dalla piccola casa ai piedi del bosco le nuvole in cielo erano gravide di neve, la strada verso l’abbazia era a circa duecento passi. Il novizio che indossava solamente il saio e due sandali sudici, fece un lungo respiro, si fermò alcuni istanti girando lo sguardo verso la porta appena chiusa, come desiderasse di rientrare nella casetta di legno e vecchie pietre.
Dopo uno sguardo verso l’uscio riprese il cammino verso il sentiero che portava all’abbazia e ai suoi doveri, si morse le labbra quasi a farle sanguinare e poi scomparì nella triste luce del tramonto.
Nella casetta la ragazza era sdraiata sul letto, caviglie gonfie e dolori ovunque, si contorceva dal dolore, da una stanza adiacente una donna anziana entrò nella stanza da letto portando con sé acqua e stracci.
“Ci siamo quasi ragazza.” Disse la donna. “Quel cane miserabile se n’è già andato.” Dopo aver posato vicino al letto l’acqua e gli stracci vide sul tavolo cosa aveva lasciato il frate.
“Una gallina morta, un pezzo di pane e quattro soldi?” La donna sputò a terra. “Miserabile cane, questo è il valore che dà a suo figlio?”
La ragazza si lamentò. Le doglie erano forti e la notte era lunga, presto avrebbe partorito.

Mauro Brandolese – Il pozzo delle lucciole

Avevo intuito che questa sarebbe stata una domenica diversa dalle altre, e vederla sgambettare per la casa con quei pantaloni aderenti avvalorò i miei sospetti.
«Una passeggiata sull’argine! A quest’ora?» protestai con forza.
«Non può farti che bene!» rispose mia moglie mostrandomi gli indumenti che aveva preparato per me.
«Guarda che il divano, del male non me ne ha mai fatto!» recriminai senza sortire effetto. “Questa volta mi tocca…” pensai.
Era un bel po’ che non infilavo una tuta e, anche se mi doleva ammetterlo, sul davanti non cadeva benissimo. Ispirai e tirai su la lampo, ma una volta espirato, fu evidente che era meglio lasciarla aperta. Così, battendo i palmi sulla pancia, infilai le scarpe, quelle sformate e comode, e la raggiunsi nel cortile. Non ci volle molto per raggiungere il fiume, e dopo una breve salita ci incamminammo di buon passo lungo il sentiero di terra battuta sulla sommità arginale.
«Fin dove vuoi arrivare?» domandai speranzoso che saremmo tornati verso casa una volta raggiunto il primo bivio.
«Mi hanno detto che il tratto del sentiero, che costeggia il campo da golf, è uno spettacolo».
«Fino al golf? Sei sicura?»
Non rispose, anzi aumentò l’andatura. Il sole aveva intiepidito l’aria e il sudore che ora m’imperlava la fronte scese lungo il naso imbrattandomi gli occhiali. Rallentai per pulirli con il bordo della maglietta e, quando me li rinfilai, un frettoloso movimento nell’erba attirò la mia attenzione.

Gino Savian – Attacco a sorpresa

Rick armeggiò di nuovo con la bobina. Il cavo d’acciaio si era attorcigliato e il rampino non poteva essere lanciato correttamente.
– Queste tute fanno schifo, hanno sempre problemi!
L’avvolgimento, posizionato sull’avambraccio sinistro, lo costrinse a lavorare solo con una mano. Era snervante non riuscire a sbrogliare il cavo.
– Aspetta, ti aiuto – Danny si sfilò i grossi guanti e il casco. Prese una grossa boccata d’ossigeno. Il caldo era asfissiante. Si asciugò il sudore della fronte e raggiunse Rick – Solito problema con la molla di rientro?
– Ma che ne so. Questi modelli per l’addestramento non funzionano.
A pochi metri da loro, gli altri, avviarono gli stormjet delle tute. Si udì un sibilo e poi dai piccoli ugelli a cono uscirono fiammate azzurre. La propulsione gli sbalzò in alto per metri. Sbuffi di sabbia si alzarono da terra.
– Cavolo! Sono già partiti! – Esclamò Rick vedendoli schizzare su per il ripido canyon – Lascia stare, levati. Mi basta un rampino.
Con uno spintone si liberò di Danny che perse l’equilibrio e cadde sul culo. Accese gli stormjet dietro la schiena e poi via! I capelli arancio svolazzarono all’indietro.
– Il casco, idiota! – gli urlò Danny. Infilò i grossi guanti e il casco integrale. Fece un saltino per trovare l’inclinazione giusta e accese i motori.

Mario Marco Corbelli – L’uomo sulla torre

Il mondo sta finendo e, come accade ogni volta, il Viandante è giunto ai piedi della Torre.
Non ho idea di chi esso sia, se uomo, donna, spettro o bestia. Questo ciclo non ha brillato per fantasia ed immaginazione, quindi le forme sono limitate.
Come ogni volta, immagino la strada che ha dovuto compiere per giungere fino a qui. Attraverso le Desolazioni, il Viandante si è trascinato senza sosta, avvolto in un mantello logoro che ha lasciato una scia lunga e contorta sulla sabbia di cristallo alle sue spalle. I venti ormai hanno smesso di soffiare, chiunque potrebbe seguire quella traccia come orme sulla neve. Ma il Viandante non ha nulla di cui preoccuparsi. Non c’è più nessuno che possa inseguirlo. È rimasto solo lui, le Desolazioni, e l’Uomo sullo Torre.
Durante il cammino, sicuramente ha intravisto la sottile lancia della Torre comparire a tratti dalle parti dell’orizzonte, bucando le nebbie e i deliri dell’Oltre aleggianti sulla distesa di polvere. In qualche modo ha trovato la forza di fidarsi, di credere in quel miraggio tra i miraggi, in quella lunga e impossibile colonna nascosta ora da una nube, ora dalle ultime lune che vagano disperate senza più un cerchio da seguire.

Flora Lalli – Quanto accade è per sempre

La foschia del giorno si era ormai dissolta per lasciare spazio a una po-meridiana limpidezza atmosferica e il fiato dei passanti fumigava nell’aria pungente di novembre. Via San Faustino sfoggiava le sue vetri¬ne illuminate, mentre il profumo proveniente da qualche banco di cal¬darroste diffondeva in mezzo al viavai dei passanti la tentazione di ac¬quistare un cartoccio di quella ghiottoneria offerta dalla stagione. Nikla attraversò la strada per dirigersi verso la bottega del corniciaio, facendo attenzione affinché le tre tele che recava sotto il braccio non urtassero contro qualcuno. L’invitante aroma delle castagne giunse alle sue narici, ma il fardello che la ingombrava non permetteva di cedere a quella in¬nocente voluttà.
– Buonasera Tommaso! – esclamò la ragazza nel varcare la soglia del negozio – Sono qui perché mi occorrono tre cornici prima di due setti-mane. Devo esporre questi nuovi lavori nella prossima collettiva. Riu-scirai a montarle entro quel periodo? –
– Sono molto indaffarato, – rispose l’uomo, spostando un quadro di grandi dimensioni – tuttavia mi impegnerò per accontentarti. Intanto vediamo quali cornici possono adattarsi ai tuoi dipinti. –

Giovanna Larghi – Il gene delle Stivieri

Sul display si accese il numero 82. La giovane donna si avvicinò allo sportello con la luce verde, salutò l’impiegato accennando un timido “Buongiorno” e fece passare il tesserino attraverso la fessura del vetro divisorio. L’uomo lo inserì nel lettore di dati, guardò il terminale e pronunciò a voce alta il nome della donna: “Genoveffa Stivieri.” Restituì la tessera insieme a un gettone blu. Genoveffa conosceva la procedura. Doveva conservare il gettone fino all’uscita. Il colore indicava il percorso. Lo infilò nella tasca dei pantaloni. Seguì le frecce blu, scese due rampe di scale e prese il corridoio a sinistra.
In fondo, una porta a vetri si aprì al suo passaggio. La saletta d’attesa era vuota. Si sedette su una poltroncina di fronte all’unica porta chiusa e aspettò.
“Genoveffa Stivieri” sentì dire all’interfono. La luce blu sopra la porta si accese e la serratura scattò. La donna spinse la maniglia ed entrò.
Genoveffa, che tutti chiamavano Jenny, era la terza di cinque sorelle. L’unica a non avere i segni della malattia.

Nicholas Pezzotta – Le Cronache del Cundu

«Comandante, siamo in netto svantaggio! Non riusciremo a resistere ancora a lungo!» Quell’avvertimento, più urlato che comunicato, scosse Palantir, che si girò in direzione del suo commilitone e amico.
«Dobbiamo ripiegare, Palantir!» lo esortò ancora una volta Rámundo mentre, con un possente fendente, decapitava il suo avversario.
«Non possiamo!» urlò di rimando Palantir per contrastare il frastuono della battaglia, mentre abbatteva il suo avversario anche se era il doppio di lui.
Quando era giovane, Palantir bramava la guerra più di ogni altra cosa e, durante i duri anni di addestramento, era scappato più volte dall’accampamento per unirsi all’esercito ma, ogni volta, qualche superiore riusciva a intercettarlo e a riportarlo indietro con un’inevitabile punizione. Ora, a quasi duecento anni dall’arruolamento, sperava di poterne vedere la fine. Durante gli anni di guerra aveva visto morire talmente tanti amici da aver perso ogni sensibilità.

Alberto Alparone – Alieni buoni e pessimi umani

I Cox erano una coppia molto affiatata, avevano deciso insieme di intraprendere il giro del mondo a bordo del loro splendido catamarano pur sapendo che avrebbero dovuto affrontare anche giorni molto difficili.
Il peggio era passato, nonostante sapessero che era molto pericoloso avevano deciso di attraversare il “Mare del Diavolo” che non si era smentito. La bussola era come impazzita e onde enormi avevano fatto di tutto per farli affondare, ma i due coniugi avevano vinto la sfida sebbene ora dovessero dirigersi verso Tokyo per fare riparare i danni subiti dalla loro sofisticata imbarcazione.
Dopo la burrasca l’oceano si era fatto piatto come l’olio e solo una leggera brezza li spingeva verso Nord, per rilassarsi si misero nudi a prendere il sole, nessuno era visibile all’orizzonte. Kim si tuffò in acqua per liberarsi dell’odore di sudore che percepiva solo lei, non si allontanò molto dal catamarano, si spostava un po’ a rana un po’ a dorso e gradualmente ritrovava il sorriso. Notò qualcosa in mare che rifletteva i raggi caldi del sole, vi si avvicinò con alcune rapide bracciate, era una borraccia d’alluminio deformata, ma ben chiusa.

Gian Carlo Barbieri – Nero profondo

Claudio Ferrari quella mattina era contento, stringeva la sporta di plastica come fosse un piccolo tesoro, ignaro del fatto che quell’oggetto stava, indirettamente, per cambiare la sua vita. Conteneva una vecchia stampa, appena acquistata in un mercatino di cose usate, uno dei tanti che da qualche tempo erano attivi a Modena. In questa bella città Claudio era nato e viveva tuttora, cioè da più di trent’anni. Recentemente, complice la crisi, in quei mercatini si poteva trovare di tutto, dai mobili ai soprammobili, passando per gli elettrodomestici, i tappeti, i vestiti.
A Claudio è sempre piaciuto girare per robivecchi o antiquari, per amore delle belle cose di un tempo o per trascorrere qualche ora a curiosare; a casa sua non c’era nulla di valore, niente mobili antichi o opere d’arte, ma pochi oggetti presi qua e là, giusto per il gusto di avere in casa un cimelio del passato. Del resto nel suo appartamento di cinquanta metri quadrati non poteva certo pensare di farci entrare di più.

Alessandro Cuccu – Agogoz

Sono Mario, e vista la splendida giornata ho deciso di farmi una passeggiata sulla collina dei mandorli. Il mandorleto è bellissimo, specialmente quando spuntano i fiori, ma in quei giorni decine di persone girano tra gli alberi, quando poi nascono i frutti c’è quasi la ressa intorno alle piante per poterli cogliere, invece in questa stagione che non vi sono né frutti né fiori non si incontra nessuno e camminando solitario tra la natura posso rilassarmi. Passeggiare tra gli alberi per ore, incontrando solo uccelli e pochi altri piccoli animali mi fa sentire padrone del mondo, ogni volta che devo prendere una decisione o quando non mi sono chiarito a sufficienza le idee su qualcosa che mi riguarda, mi reco al mandorleto, dove mentre cammino riesco a rianalizzare tutti gli eventi per capire cosa per me sia davvero importante, in modo da poter compiere una scelta con la sicurezza di aver fatto quella migliore. Quando in lontananza vedo una persona, nonostante il mio desiderio di solitudine non mi irrito, anzi devio e mi dirigo verso di lui, sono curioso di capire se sia qualcuno che conosco o un forestiero che ha voluto farsi una lunghissima camminata.

Lucrezia Dal Molin – Tutti hanno due docce

Una folta schiera di giornalisti spalancò la porta principale e prese posto sulle sedie, alcuni non ne avevano bisogno perché erano loro stessi delle sedie.
La stanza era inondata di luce e le pareti erano così bianche che degli alieni particolarmente sensibili si coprirono gli occhi con le mani e con i piedi.
«Come ha fatto a diventare ciò che è?!» gridò qualcuno.
«La sua vita è appagante?» chiese un altro.
«Ci racconti qualche aneddoto!» proruppe un terzo.
La Luminescenza davanti a loro ghignò. «Signori, uno alla volta, per favore», se avesse avuto le mani avrebbe fatto cenno di stare calmi.
«Il mio lavoro in una parola? Impegnativo…»
Tutti i giornalisti presenti cominciarono a scrivere, chi sui taccuini, chi sui tablet, chi usava i propri occhi come telecamere e luci posizionate ad hoc.
«Non che odi il mio impiego, ma quando lo si fa da così tanto tempo, la vostra mente non è concepita per immaginare un tale numero, può diventare monotono. È per questo che mi aggrappo ferocemente alle storie più interessanti: per avere quel brivido di novità», la Luminescenza fece una pausa drammatica.

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